Días 61-65: essenzialmente Daintree

Questo capitolo riguarda la foresta pluviale più antica del mondo: la Daintree rainforest che con i suoi 200 milioni di anni si conserva come una giovinetta. Per raggiungerla si attraversa un fiumiciattolo, quello che si potrebbe fare attraversando un ponticello qui si fa con una specie di traghetto che si muove per mezzo di un cavo, tipo yo-yo. Approdati sull’altra sponda si entra in un mondo nuovo, senza polizia, selvaggio e quasi completamente svincolato dal resto della società australiana.

La Daintree è stata riconosciuta dall’UNESCO nel 2015 come patrimonio naturale. La foresta contiene il 30% delle specie di rane, rettili e marsupiali australiani e il 90% delle specie di pipistrelli e farfalle australiane. Lo sapevi che i pipistrelli impollinano molto più che api e uccelli? La più alta concentrazione al mondo di piante da fiore primitive al mondo (12 di 19) si trova in questa foresta.

La selva è semplicemente incredibile, sembra essere in Jurassic Park. Gli alberi spiccano verso il cielo in una lotta drammatica per raggiungere il sole, i tronchi sono esili e privi di rami, solo una volta conquistato un pezzetto di cielo si aprono in chiome strabilianti con fogliame dalle dimensioni apocalittiche. Su questi alberi-dinosauri si arrampicano tanto le piante parassite come le epifite (quelle che solo si appoggiano e non danneggiano, le orchidee per esempio) che creano degli intrecci di radici che sembrano fatti all’uncinetto. Convivono e si intrecciano tantissime specie, è impossibile che in una foto ci sia solo un tipo di pianta.

Anche gli animali sono speciali, tutta quest’area è famosa per il casuario, un uccello enorme, grande come uno struzzo con il piumaggio nero e la testa azzurra sulla quale spicca una protuberanza (ossea?) che lo fa sembrare essere uscito da Jurassic park, appunto. Anche le sue zampe formate da tre unghione sono enormi. Lungo tutta la strada è pieno di cartelli di “attenzione”, pare ce ne siano parecchi nella zona, noi ne abbiamo visto solo le cacche.

Abbiamo fatto tanti percorsi di trekking nel parco, sono organizzati in maniera tematica: la foresta pluviale (percorso Jindalba), la foresta che migra nel paesaggio delle mangrovie (p. Marrdja) e poi le mangrovie in relazione al mare (p. Dubuji).

Ognuno era particolarissimo ed erano sorprendentemente diversi gli uni dagli altri nonostante fossero molto vicini tra loro. Sicuramente quello che mi ha impressionato di più è stato il Dubuji con le sue palme giganti, alte fino a 30 metri. Ecco qua duecento foto:

È pazzesco vedere la fusione degli ecosistemi. Un vero peccato che ai serpenti e ai ragni, pericoli terrestri, si sommino le mortali meduse e i coccordilli, pericoli marini. Questi simpatici rettili di acqua salata possono raggiungere i 6 metri di lunghezza ed addentrarsi dei fiumi per diverse centinaia dimetri! Non si possono nemmeno mettere i piedi in mare, bisogna stare a 4 m dalla riva, c’è il rischio che un coccodrillo zelante ti trascini nell’acqua e poi ciao ciao… è già accaduto.

Ecco qualche spiaggia:

Sulle spiagge talvolta (non a Daintree dove semplicemente sudi, guardi il mare e ti rode il culo) ci sono delle specie di reti per le meduse. Quelle mortali che hanno un diametro di 2 cm pare che passino dalle maglie e che in cambio nelle reti si trovino spesso intrappolati coccodrilli. Pure le formiche, innocenti insettini, se ti beccano possono essere molto pericolose, sono in grado di accartocciare le foglione della foresta per abitarci dentro. Se per caso te le ritrovi addosso consigliano di spogliarti nudo e scuotertele di dosso.

Torniamo alle cose belle. Nella zona ci sono diversi fiumi e torrenti e varie zone balneabili, la sensazione di libertà che si sente in questi posti è semplicemente unica. La gratificazione che si trova nell’immergersi nell’acqua fresca dopo una giornata passata a sudare camminando nella foresta (infestata dalle zanzare) è impagabile.

Abbiamo chiaramente potuto toccare con mano l’aspetto selvaggio della foresta ben da vicino. Lussi non ce ne siamo concessi, anche perché qui non avrebbe avuto senso, ed eravamo in un b&b nella giungla dove abbiamo avuto qualche…visita pericolosa. Perché abbiate un’idea il simpaticone del cucchiaio era in cucina, sua sorella maggiore si stava mangiando una piccola rana sull’uscio della nostra porta.

Pare che sia velenoso ma ha le mascelle piccole e quindi anche se potenzialmente molto pericoloso, non riesce a iniettarti il veleno in profondità. Di conseguenza il proprietario, Mat, che merita un capitolo a parte, non si è curato di farlo sloggiare, dice che se magna i ragni più piccoli e gli evita la rogna di togliere le ragnatele. Ecco un campionario degli animali che abbiamo potuto fotografare, senza includere il serpente giallo e nero che mi è strisciato tra i piedi che

Tutto è selvaggio e puro e grande. Non credo di essere in grado di spiegare a parole la sensazione di fusione con il contesto che abbiamo vissuto. Se non fosse per gli animali mortali sarebbe un posto dove vivere per sempre, sensazione che non abbiamo sperimentato altre volte in questo viaggio.

La nostra permanenza è stata ancora più speciale grazie a Mat, il proprietario del b&b. Ci ha spiegato che la foresta anni addietro, anche grazie all’isolamento geografico, ha iniziato a popolarsi di persone che cercavano di fuggire dalla giustizia o da qualcosa in generale. Con il tempo anche gli hippie e i ladroni hanno costruito una sorta di comunità, ad oggi pare che la foresta sia un buon punto per smerciare metanfetamina, grazie all’assenza di forze dell’ordine.

Mat è un uomo speciale, molto colto, un tempo addirittura si candidò con un partito ecologista, poi divenne professore di inglese per le comunità autoctone. Credo che lui sia tra quelli che fuggirono dalle strutture sociali canoniche. È stato fantastico con me, abbiamo sostenuto conversazioni anche molto impegnative sul diritto, la burocrazia, l’integrazione delle minoranze…con molto impegno da parte mia e molta pazienza da parte sua. Ha viaggiato in lungo e in largo per il mondo, sempre in moto e sempre solo. Viaggi seri, nove mesi in Africa, due anni in Tailandia, non so quanto in Cambogia… parla tante lingue, ha tre figli da due mogli diverse, naturalmente ex. Ha vissuto all’aperto nella giungla per nove mesi, e si è incrinato una costola durante la nostra permanenza volando giù da una scala con una sega in mano.

In questi viaggi il bagaglio emotivo che se vuoi puoi costruirti è più grande di qualunque valigia del mondo. Se mai qualcuno dovesse leggere queste linee, il suo b&b si chiama Epiphyte, un’esperienza indimenticabile.

Días 57-60: Whitsundays y mi tortuga

Después de dos días en carretera y más de 900 kms por fin llegamos a Airlie Beach.

Las reinas del mambo de esta etapa son las islas Whitsunday dónde hicimos una excursión de un día. Se trata de un archipielago de 74 islas. Se llaman así porque cuando Coock pasó por el estrecho pensó justamente ser el primero y lo hizo el día de pentecostes (Whitsun en ingés) y, ya que tenía una fantasia apabullante, así bautizó el estrecho y consecuentemente las islas.

En el tour, adivina un poco, nos llovió a cántaros. Afortunadamente por la mañana tuvimos sol mientras hacíamos snorkel, el día en que yo me hice amiga de una tortuga y, consecuentemente, el MEJOR día del viaje!

Hicimos dos paradas en puntos distintos y la verdad es que ha sido tremendamente impactante ver tanta vida submarina, tantos colores…una pasada. Hay corales en forma de almohada que en unos puntos llegan a los dos metros o más, en las fotos no se aprecia lo grande que son. Cuando salía el sol entre las nubes literalmente explotaban los colores. Hemos incluso visto una almeja gigante que tendría un metro y pico de largo! (sin exagerar mucho).

Aquí hay que llevar un traje anti-medusas (básicamente un mono de Lycra), porque, ya sabes, puedes palmarla si no. Los más precabídos preguntarán por el dorso de los pies y la zona de la boca, a ellos les contesto que la gente se baña a pelo por aquí y que la dueña del Air b&b nos ha tomado el pelo a los europeos que venimos con las recomendaciones del ministerio de interior tatuadas. Su vida aquí no es una lucha por la supervivencia con un cuchillo en la boca matando serpientes, arañas y medusas que digamos.

Volviendo al tour: íbamos en una lancha neumática amarilla que a la vuelta ha literalmente surfeado las olas, Antonio se lo pasó como un enano, yo estaba agarrada a un palo como si de ello dependiera mi vida (como de facto ERA), no me explico como no haya tenido agujetas en los brazos.

El atractivo principal en término de playas es la Whiteheaven, no se puede explicar lo bonito que es el sitio. Lo de white, claro, es por la arena, sílice al 99%, una harina/arena. (M. sorry, no te puedes llevar arena de de estos sitios que te meten preso por menos de ná).

En cuanto la lancha ha echado el ancla…BOOOOOOOM liiitros de lluvia. Es un puto reloj suizo.

Aquí el sitio como lo hemos visto nosotros vs como es con el sol:

En todo caso tiene su encanto también así, el agua cristalina con centenares, CENTENARES, de rayas, los relámpagos y nosotros bañándonos en ese paraíso. Tuvimos la genial idea de ir al mirador en lo alto del “monte” descalzos, los pies hechos un Cristo, además llevábamos unos chubasqueros muy monos.

Para los amantes de la barrera coralina en el grupo del viaje, yo misma, hoy hemos sacado unas fotos en un mirador espectacular de donde se ve lo que se llama Black currant manta ray reef, y por algo será.  También hemos ido a ver una cascada sin agua, la única cosa molona eran las mini-ranas y luego hemos pasado la tarde en la piscina de la ciudad, muy guapa y gratúita!

Black currant manta ray reef
Black currant manta ray reef

Los días de Phnom Penh parecen otra galaxia.

 

Días 53-56: da Brisbane a Fraser Island

Inizia un luuuungo viaggio di 1800 km.

Dopo varie dispute, Prudenza mi ha persuasa ad abbandonare l’idea romantica del camper in favore di ostelli e macchina. Gli argomenti principali sono stati:

  • dover svuotare il serbatoio della merda
  • dormire dentro una lamiera (camper) sotto il sole.

Nella pratica qua so’ 4 giorni che piove a dirotto e dormiamo in ostelli con materassi a molle della prima guerra mondiale. Tipo che dormi a cucchiaio con le molle. Non allego una foto con gli occhi iniettati di sangue e le occhiaie viola per decenza.

Cooomunque… SIAMO TORNATI ALL’OCCIDENTALITÁ (alle antipodi). Brisbane è stata una tappa tecnica che è servita a togliermi la crisi di astinenza da formaggio e a farci sentire un soffio di quotidianità. Soprattutto perché dopo 50 giorni di “arroz con cosas, cosas con arroz” mo mò morivo. Abbiamo trascorso una giornata normale: abbiamo fatto una passeggiata, mangiato una pizza e siamo andati al cinema. Le cose “esotiche” della nostra giornata normale: i toporagni (come li chiamava papà) ENORMI che sarebbero le volpi-pipistrello che svolazzano sugli alberi del lungofiume, l’Ibis bianco che camminava sul marciapiede, l’acquazzone tropicale e lo stramaledetto inglese di Star Wars. NON SO COSA AVREI FATTO senza il podcast di 4.16 ore di quelli de “La Órbita De Endor” sull’episodio IX! Che ad ogni modo vi consiglio.

Deliziando le orecchie con Endor siamo arrivati al Lone Pine Koala Sanctuary, in teoria un centro di recupero, nella pratica uno zoo. Comunque fico perché abbiamo visto per la prima volta i koala che dormono beati sui rami e i canguri che sfoggiano i loro genitali senza vergogna.

 

La meta della giornata era Hervey Bay che è una cittadina surreale che vive del turismo della vicina Fraser Island (patrimonio UNESCO dal ‘92). Lunghe strade con casette a quattro falde con giardino, tutte sparpagliate in km e km quadri. Non esiste un centro consolidato, però esiste la pasta di Paolo’s che è affianco alla Burgerie che insieme ad un molo da cui i ragazzini fanno i tuffi è quello che abbiamo deciso fosse il nostro centro città.

Ci siamo beccati due giorni di piogge tropicali di quelle serie e ne abbiamo approfittato per fare il bagno sotto la pioggia in una spiaggia immensa. Come i bagni alla Cala d’oro con 17 anni, ma meglio.

Dopo la pioggia ci siamo finalmente potuti godere un tour a Fraser island. Che è una autentica meraviglia: la più grande isola di sabbia, DI SABBIA, del mondo: 1840 km2. Strade di sabbia ti portano ai boschi che crescono su monti di sabbia, ad una selle spiagge più lunghe del mondo con le sue 75 miglia (120 km) e ai suoi 100 laghi di acqua purissima.

Il lago più famoso è il lago McKenzie che è l’acquifero sospeso più grande al mondo (in Australia deve essere tutto grosso altrimenti non vale). L’acquifero sospeso è una cosa interessantissima, leggi questo! L’acqua del lago sembra quella di una spiaggia caraibica grazie ad un Ph molto acido (3.7) che impedisce la proliferazione della maggior parte delle specie acquatiche tipiche dei laghi. La sabbia è silice al 99%, bianchissima e sprofonda rapidissima nel blu dipinto di blu.

Dopo avere quasi disboscato l’isola dai suoi magnifici alberi ad alto fusto, nel ‘900 decisero di ripiantumarla. Come? Facendo gli esperimenti. Piantarono un po’ di tutto e pare che quasi tutto attecchì. Quindi oggi siamo passati attraverso boschi di eucalipto, pini ed anche una foresta pluviale.

Gli spostamenti su queste strade di sabbia sono molto accidentati e si possono fare solo in 4×4, tipo la vecchia panda. Noi per economia ci siamo mossi con un autobus che era praticamente un trattore. La “strada” principale è la 75 miles beach dove i mezzi possono arrivare fino agli 85 km/h. C’erano spiattellate centinaia di meduse, ed anche centinaia di caravelle portoghesi! Ad ogni onda sulla battigia scappavamo come conigli.

Gli ultimi due pit stop:

  • La S.S Maheno, una nave che batteva bandiera neozelandese che si arenò in seguito ad un tifone nel 1935
  • Le montagne di sabbia di 72 colori a ridosso della battigia.

 

Sulla strada del ritorno, in traghetto, visto che l’otite è sempre acquattata dietro l’angolo ad attendere il più piccolo passo falso…

Días 49-52: Railay y entregas

Llegar a Railay ha sido accidentada. Empezamos con un chaval de 15 años (o menos) que, en el medio de nuestro desconcierto e incredulidad, nos subió a su estrafalario sidecar y nos llevó de la playa al muelle (Se suponía que nosotros habíamos contratado un coche para llevarnos al puerto desde el hotel). Cada bache parecía un cañón, esos cosos tienen tres ruedas y la plataforma no está NUNCA en equilibrio horizontal.

Del muelle tenía que recogernos un”speed boat” en teoría a las 12.00. Cuando llegamos ya había unas 10 personas. Al cabo de una hora aún no había ni sombra de alguien que pudiese parecerse a un tour operator. Los turistas ya éramos una treintena. Sobre las 13 y algo aparece un señor regordete, sonriente, con la camiseta pringada, que empieza a contarnos modo ovejas repitiendo en voz alta, más para él mismo que para nosotros, los destinos de cada cual. Llama a alguien, grita nombres y números. Creemos que en ese mismo instante había hecho un cómputo de los que éramos y dónde tuviéramos que ir y que estuviera buscando los barcos para llevarnos. En toda la hora siguiente a cualquiera que le preguntara por su barco, el señor respondía siempre “media hora”.  Después de hora y media llegan modo flotilla tres barcos, ya en overbooking, y se empieza a montar la de Dios. Parecía el mercado el pescado. El tío contándonos, el otro del barco gritando destinos, maletas que viajaban de un barco a otro y desaparecían en compartimientos semiocultos. Nos subimos al final a uno de ellos rezando al menos que las mochilas siguieran con nosotros, mucho esperar era llegar directos a nuestro destino. El conductor viajó a todo gas, tardando 20 minutos en hacer un viaje de 40. Llegamos vivos, con las mochilas y en el sitio adecuado.

La playa de Railay parece hecha de harina por lo fina que es! El hotel por fin tenía nivelasso y las cucarachas parecían un recuerdo lejano. La lengua de tierra entre las dos bahías está repleta de hoteles que dejan unos caminitos estrechos para conectar el lado este al oeste. Hay una única calle dedicada a la restauración y en los árboles de nuestro hotel (justo frente a nuestra habitación!) había familias enteras de monos que se subían a los balcones y hacían un escándalo del demonio.

Lo demás va a ser breve, porque hemos hecho poquito, mucho trabajo, algún que otro atardecer y copiosos desayunos. Ha habido incluso un día de 24 horas de trabajo para Anto, que se distraía sólo para comer lo que le traía, diciendo SIEMPRE que no sabía si hubiera tenido tiempo para comérselo y que incluso no hacía falta traerle nada…claaaaro.

De los momentazos hay que destacar un paseo a la playa de Tonsay a través de un bosquecito precioso y lleno de monos. Por qué destacará esta playa? Por los/las  buennorros/as que hacían escalada en las paredes verticales de los acantilados! Había incluso niños que se subían al menos a 20 metros de altura.

Otra maravilla ha sido el paseo en kayak, mejor incluso que la arena/harina de la playa y los mazaos! Aquellos acantilados brutales están llenos de estalactitas que te gotean encima y luego…SBAM una pared vertical con los depósitos de hierro que la pintan cómo una acuarela. Todos los alrededoses están hechos de islas, islotes, islitas rodeadas de corales.

La noche después de la entrega fiumos a tomar algo, y por algo entiendo cerveza, aunque el dueño del bar nos ofreció por 250 bahts (unos 8 euros) un canuto de veinte centímetros de largo. El tufazo a marihuana se sentía desde fuera en realidad. El bar se llama “Jamaica”, así que todo tenía sentido. En medio de este escenario dantesco un niñito rubio de unos 4 años jugaba con su camioncito amarillo. Mamás NO hemos participado a este abominio, en Tailandia vas al calabozo por mucho menos.

Y ya se acabó la etapa Thai, a los pocos días de distancia la nochevieja parece ya lejana, sobretodo si escribo desde un hostel en Australia que parece salido de Twin Peaks o alguna serie de segunda emitida por la tarde en la cuatro 🙂

Días 45-48: Koh Jum e le invasioni animali

Prologo:

Per chi non lo sapesse, anni fa io e Antonio vivevamo un bilocale in via Alonso Cano, la nostra prima casa insieme. Poco prima che mi trasferissi con lui il condomino del piano di sopra morì, e morì in casa nel mezzo della pattumiera che accumulava. Era un uomo solo e nessuno si accorse per giorni della sua dipartita dal mondo dei vivi. Queste tristi circostanze portarono ad una infestazione di scarafaggi in tutto l’edificio, erano O-VUN-QUE. Immaginate che Antonio dormiva sul divano, si cospargeva di insetticida e faceva il cerchio delle streghe intorno a sé. Sin da allora ho delle reazioni incontrollate e completamente irrazionali alla vista anche fosse di un solo scarafaggio.

I fatti:

Abbiamo cambiato isola, ora siamo a Koh Jum (seguono commenti e descrizione) e il nostro hotel è un “hotel diffuso” fatto di capanne di bambù e legno inerpicate su un crinale pieno di alberi. Sta il fatto che dopo una giornata di mare vado a farmi la doccia nel bagno del boungalow che sembra uscito da un film su Berlino est, però col tetto di bambù. “AAAAAH Antonio!!! Sono circondata!!!!” (uno scarafaggio sulla porta). Sopraggiunge scapicollandosi il principe azzurro, anche detto ammazza bacarozzi, il quale compie la missione per la quale era stato predestinato sin dalla nascita. Inizio ad insaponarmi e ne vedo un altro. Altro grido, altra corsa. Io nuda come mamma mi ha fatta, sull’uscio della porta, strofinandomi compulsivamente il bagnoschiuma addosso e piangendo le lacrime vere, quelle dei bambini, quelle grandi. Ho dovuto finire di farmi la doccia, piangendo piangendo per poi tuffarmi nel letto sotto la zanzariera.

Altri fatti:

Abbiamo avuto un’invasione di rane nel bungalow, una delle quali ho dovuto liberare con una scopa e un cesto: ci osservava troppo mentre eravamo in bagno. Avendo scoperto, con il passare dei giorni, che l’invasione di rane sarebbe stata quotidiana, abbiamo imparato a non farci troppo caso.

È assurdo pensare a quanto sia tranquilla e poco affollata quest’isola rispetto alle super famose qui intorno. Il mare è pulito, ci sono anche dei coralli e pesci colorati, la spiaggia è stupenda e la vegetazione è alta e frondosa. Gli hotel sono tutti nascosti tra gli alberi e non deturpano il panorama. Per arrivare qui siamo dovuti passare per Koh Phi Phi che sembrava Jersey Shore: tette rifatte, tamarri in canottiera, tatuaggi total body, occhiali da sole specchiati e capelli biondo platino. Ci saranno pure delle spiagge stupende ma saranno anche super affollate da questa fauna (che snob, al rileggerlo mi faccio rider da sola). Comunque, al contrario, quando siamo arrivati a Koh Jum, il 4×4-camioncino-taxi si è addentrato in un sentiero sconnesso e ci ha mollati sulla spiaggia dicendoci che l’hotel fosse un centinaio di metri a sinistra. Questo è quello che ci piace. 

Abbiamo anche preso un kayak con l’intenzione di percorrere la costa a nord dell’hotel ma un’improvvisa burrasca di vento ci ha confinati su una spiaggia (abbastanza vicina all’hotel) in cui siamo diventati delle crocchette umane e i nostri telefoni pure. Tra un kittemorto e l’altro e il malumore crescente siamo riusciti a tornare indietro abbastanza facilmente, nonostante avessimo solo un remo e mezzo (perché questi boungalow di buono c’hanno solo la posizione).

L’impresa kayak è stata ovviamente ripetuta, compiendo la missione e remando come forsennati perché il sole è calato mentre eravamo sulla strada del ritorno. Antonio ha detto che se continua così gli verranno le spalle come le mie, come dargli torto.

Días 40-44: Koh Yao Yai, Nochevieja en Thailandia

El salto a Tailandia ha sido muy, muy agradecido! Nochevieja la pasamos en esta playa de Koh Yao Yai:

Incluso formamos un buen grupo con unos chicos italianos y polacos, parecíamos colegas desde hace tiempo. Casi todos trabajan en el mundo audiovisual, un par de ellos son actores también, cosa que le ha dado un punto excentrico a casi todas las conversaciones! La única que trabaja en otro sector es profe a Bangkok y hablaba por los codos, así que silencios incómodos no ha habido!

En la parte inicial de la playa hay unos garitos frecuentados casi exclusivamente por chinos, pijos y pijos chinos, pero luego la historia se vuelve Bob Marley. Conocimos a Niki, el dueño de un bareto y le pedimos si podríamos organizar la cena de nochevieja allí, rollo barbacoa de pollo y pescado. Resultó fantástico. Niki es un isleño regordete con una bonita sonrisa que le ilumina la cara a la cual le falta un incisivo frontal, cosa que le da una extraña expresión de pirata, y yo lo sé bien. Le vimos transportar la barbacoa en sidecar, el medio de transporte local más común aquí. Son sidecares homemade, pintan así:

Nos divertimos como enanos, todo el horizonde estaba lleno de fuegos artificiales (la zona de Phuket) y también los chinos sacaron la artillería pesada. Después nos bañamos y… había bioluminescencia!!!!! No era super fuerte pero al mover las manos y los pies se iluminaban millares de puntitos, una pasada. Han tenido que arrastrarme fuera del agua, no quería salir.

En la isla hay una única carretera que corre de norte a sur. Se pasa por el medio de la selva y por pueblines  con casas subidas encima de palafitas. Es todo muy tranquilo, agradable y bonito. Son todos musulmanes de los de verdad, con sus minaretes y sus chadores pero muy tolerantes hacia nosotros pecadores. Las playas de la isla son preciosas: arena blanca y selva que llega hasta la orilla. Incluso hay monos, muchos monos que viven en los árboles del final de la playa. No nos hemos acercado demasiado por “Prudenza”. La isla no es muy turística, incluso las playas mas famosas están “vacías”. El agua está algo turbia, sobretodo al este, debido a la desembocadura de los ríachuelos o a la presencia de las rías, pero también por esto hemos tenido la bioluminescencia, así que aceptamos lo turbio.

Hemos estado en una de estas rías, evidentemente el kayaking aquí no le interesa a nadie y hemos explorado los meandros a solas. Está lleno de manglares y monetes. Un ecosistema completamente nuevo para mi, estupendo. Al entrar en la parte final de los canales los árboles construían un techo de hojas sobre nuestras cabezas, mientras las raíces cerraban cada vez más el paso.

Hemos tardado un mundo en llegar a Ko Yao Yai pero ha merecido la pena!

Días 34-38: Hoi An e il nostro primo Natale in spiaggia

l Natale fuori casa ha uno strano sapore dolce e amaro. Siamo stati su una spiaggia bellissima con le isole che disegnavano l’orizzonte, ci siamo fatti delle foto con dei cappellini rossi, abbiamo preso il sole e mangiato un piatto di riso sotto un ombrellone di paglia. Il cibo lo preparavano nelle loro case in un paesello a ridosso della spiaggia delle minute signore tutte imbacuccate (per la fobia del sole), il loro non-ristorante si chiama «3 ladies kitchen» e ci tenevano molto a toglierci la sabbia dai lettini con uno spolverino per la polvere.

Buon Natale!

Sulla spiaggia erano state portate a secco de barche dei pescatori che in questa zona hanno una strana forma a tazza, completamente anti acquatica a mio parere ma che ha delle radici storiche interessantissime (articolo del national geographic, foto bellissime )! Paese che vai, usanze che trovi. Si chiamano “thung chai” o “thuyen thung” rispettivamente «bottiglia» o «casa barca»; sono fatte da intrecci di bambú e vengono ricoperte di bitume e resine per stagnarle, talvolta l’impermeabilizzazione viene fatta con sterco di vacca. Nacquero per eludere le gravose tasse dell’impero coloniale francese alle imbarcazioni da pesca. Spacciate per grandi cesti, sono diventate un simbolo di indipendenza. È bello scoprire queste cose e vedere che la fioritura, o sarebbe meglio dire l’infestazione, dei resort sul mare non abbia ancora cancellato del tutto le tradizioni locali.

Al mare siamo andati in bici da Hoi An, il nostro quartier generale, tra una imprecazione e l’altra nei confronti degli autisti. La strada per tornare in città passava in mezzo ai campi di riso allagati, con signore con i cappelli a cono chine sull’acqua, i bufali che si rotolavano nel fango e le garzette che si elevavano in stormi. 
Abbiamo anche sentito la nostalgia dei nostri, tutti riuniti intorno al tavolo, il baccano dei bambini (italiani e spagnoli), gli sfottò di L. agli anziani, le macchie di vino sulla tovaglia, la risata chioccia di zia L., le cento prelibatezze tutte italiane preparate con amore da mamma, il camino acceso da P., la visita inaspettata di zio F., e G. che pensa al suo vestito da sposa. Per non menzionare le birre nel salone dopo cena con D,T e A!

Antonio per festeggiare il Natale ha cenato con un’aragosta alla spropositata cifra di 12 euro. Il nostro hotel è nel quartiere del «night market» dove si mescolano venditori di vestiti a quelli che arrostiscono polpi, rane, gamberi, pollo e aragoste fiancheggiati dai venditori di souvenir. Tutto avvolto in una nuvola al sapore di barbecue e crepes al suono «can I help you lady? try, try». Notare la rana impalata in secondo piano nella prima foto.

Hoi An è una città splendida, patrimonio UNESCO, sul delta del fiume Thu Bon. Fu una fiorente città dove convivevano gli interessi commerciali di giapponesi, cinesi e vietnamiti, fin quando non venne soppiantata dalla vicina Danang che i francesi preferirono alla città fluviale. Tutto questo l’ha miracolosamente preservata dalla distruzione dei bombardamenti di guerra prima e dalla ripresa economica poi. Gli isolati sono lunghi e stretti e le case a due spioventi sono passanti: hanno quasi tutte un doppio affaccio e un patio interno. Sono a due piani, in legno, e le facciate sono dipinte tutte di giallo, al primo piano ci sono dei bellissimi balconi con fiori e piante (in Vietnam non mancano mai, nemmeno sulle case zattere). Nella parte bassa quasi tutti i muri sono verdi di muschio a causa dell’umidità portata delle numerose inondazioni che colpiscono la città, l’ultima, bestiale, del 2017. In sporadiche occasioni è capitato che l’acqua arrivasse sino al primo piano. Si navigava in barca per le strade.

Per come l’abbiamo vista noi ha l’aspetto di un piccolo parco giochi per turisti, ogni casa è un negozio, cosa che ha naturalmente snaturato il paesello di pescatori e commercianti, ma lo ha anche salvato dall’incuria e dalla povertà. Siamo addirittura usciti con i sandali, attaccando le scarpe da trekking al chiodo per un giorno.

Il 24 sera in un attacco di italianitá/europeismo ho mangiato per la prima volta cibo nostrano: una schifosissima pizza, congelata, per la modica cifra di sei euro. Non me ne pento, lo rifarei, fosse anche solo per questa foto. 

Tornando verso l’hotel ci siamo fatti attrarre dal carisma di un artista che faceva piano-bar in un localetto sul fiume e abbiamo passato la sera della vigilia a bere birra e goderci lo spettacolo, fottendocene che non fosse made in Asia. A volte esageriamo co’ sta cosa del «local«. Il bar era proprio a ridosso dei canali, che di sera (tutte le sere), si riempiono di barchette che traccheggiano i turisti su e giù, tutto è illuminato dai faretti colorati e dalle candele che i turisti lasciano nel fiume (Greta non me volere, era bello assai).

Dopo una estenuante ricerca tra le centinaia di sarte che hanno negozi in città, ho ceduto alla vanità, e mi sono fatta fare due vestiti in misto seta per 55 euro che mi stanno una cacata, uno non mi entra nemmeno. Oramai è fatta, almeno potrò variare un poco la mia divisa di decathlon! D’altronde te li fanno in appena un giorno, se ci fossero state le tre sorelle Sebastiani e Mary cugina sarebbe stato diverso. 
Sì è quasi conclusa la tappa vietnamita, siamo in aereo per HCM e domani partiremo per le spiagge Thailandesi, con la speranza che Anto possa lavorare meno del previsto e godersi il mare, magari evitando di affogare come quasi accadde in viaggio di nozze! 

È il momento della pagella del primo monomestre e per noi il Vietnam è stata una tappa speciale. Il paese è in crescita economica tangibile, il divario sociale è ovunque, i paesaggi naturali sono strabilianti, le città caotiche, il cibo superbo e le persone hanno uno sguardo dignitoso e fiero, anche nella povertà, accompagnato da un gentile sorriso.

 

Días 31-33: Cần Thơ

Estamos en un homestay precioso en el delta del Mekong (A, un homestay es una especie de hotel en casa de una familia). Se trata de 5 cabañas de madera y hojas de palmera en una parcela larga y estrecha delimitada por dos canales con plantas acuáticas. Bosa, el dueño, nos ha dicho que hasta hace 30 años todos por allí vivían en casas como éstas. Somos de los pocos, a juzgar por la desolación del sitio, dispuestos a pagar algo más para estar más incomodos! Mientras nos entran y salen del boungalow lagartijas y ranas por debajo de las paredes encañadas, a menos de cien metros hay villas de dos plantas con pinta international. De todos modos el sitio tiene un encanto especial y la familia es muy atenta y se te olvidan las incomodidades como la ducha al aire libre.

Ahora que he dormido en un sitio relativamente rural, casi al aire libre, y padecido los ruídos nocturnos del campo vietnamita (casi cuanto padezco el camión de la basura de las 24.00 en Madrid), me pregunto como coño tiene que ser acampar en el monte con lobos, jabalíes y vete tu a ver qué cantidad de bichos menores.

Hemos dado un paseo en bici y averiguado que al lado de cada pequeño canal hay una fila interminable de casas, barracas y parecidos. Lo que hemos visto sería la peor pesadilla de Greta Thumberg, de Greenpeace y de Dickens, que empezaría otro bestseller.

Tanto los canales como el proprio Mekong son un vertedero al aire libre y las fotitos de los instagrammer y los textos de los blogueros que nos han atraído aquí no mencionaban la cruda realidad. Anécdotas: el dueño del homestay tiene dos tortugas acuáticas dentro de botellas de medio litro de agua, las pobres no pueden ni girarse. Los habitantes de las aldeas tiran bolsas de basura desde las ventanas. Los de los puestos de los mercados vierten todo tipo de plásticos y vidrios en las aguas del Mekong.

Lo hemos tomado como un paréntesis didáctico/sociológico.

Hemos ido con Bosa a ver el mercado flotante más grande del delta del Mekong, el Cai Rang. Los puestos del mercado son unas casas/barco de unos 15 metros y solo venden al por mayor. Sus clientes son los barquitos pequeños que luego distribuyen en los mercados. Las barcazas solo venden ortalizas y fruta. Para enseñar a los clientes su producto, cuelgan una pieza en lo alto de una caña de bambú en la proa. Cuando llegan con su cargamento al mercado echan el ancla y no se van hasta que lo hayan vendido todo, pueden tardar días o semanas. Una curiosidad: utilizan motores de coches viejos modificados para desplazar los barcos.

En las orillas hay otro mercado, más estándar digamos, muy bonito, muy auténtico. Habíamos tenido la genial idea de quitarnos los zapatos de trekking, que ya son como una segunda piel, y hacer la excursión en chanclas. El resultado ha sido tener sangre y porquerías incrustadas en las plantas de los pies. De hecho, alguna de las siguientes fotos pueden herir las sensibilidad de nuestros lectores más aprensivos.

Días 29-30: Ho Chi Minh

Siamo arrivati di sera, dopo un viaggio spaventoso. Il guidatore della «limousine» (un furgoncino con sedili di pelle) ha tardato 1 ora e mezza per fare un tragitto stimato in due ore. Avete presente lo schiacciamento delle vertebre quando andate in barca con uno che «sbatte sulle onde» con lo scafo? Beh così. Non aiuta il fatto che in autostrada ci siano i dossi per ridurre la velocità. L’autista con i suoi occhialetti con i vetri viola e lo stuzzicadenti in bocca e l’espressione malvagia sembrava un membro della mafia cinese. In Vietnam lo stile di guida è temerario in generale, lo sapete, ma questo faceva dei sorpassi da sinistra sul ciglio di ponti e viadotti da far venire i brividi!!!!

Fatto sta che Ho chi Minh (per I., che ancora si confonde, la vecchia Saigon, Vietnam del Sud, roccaforte di francesi prima e americani poi) ci ha accolti con 32 gradi. Persino i cani ne soffrono:

Abbiamo cenato con i nostri amici grandi spagnoli che oggi sarebbero tornati in Spagna. Forse ad Ho Chi Minh si mangia meglio che ad Hanoi, sembra ci sia più varietà. Abbiamo provato delle specie di polpette di carne rivestite di semi di loto ed anche delle specie di hamburger cotti ai ferri dentro un cespuglietto di citronella. Ovviamente carne e pesce in umido come se piovesse in aggiunta ai noodle con «cose».

Noodle mixed soup, Hué style

Curioso che gli unici con cui abbiamo stretto un poco di più siano over 60! In realtà anche il nostro caro Rob, il marine americano, ci scrive ma Anto sostiene che sia tutta un’opera di seduzione.

HCM ha quasi nove milioni di abitanti, sembra sterminata dall’alto. Le strade sono un macello. I contrasti di Hanoi si accentuano molto qui e il divario sociale è ancora più evidente. Grattacieli enormi (Bitexco Financial Tower, 68 piani, incluso nella lista dei 25 grattacieli più rilevanti al mondo) con venditori ambulanti che vivono ai loro piedi.

Abbiamo visto una intera famiglia vivere dei proventi di un «ristorante» dormire su sdraio e brande improvvisate sul marciapiedi nel Distretto 1, fuori dalla porta del nostro hotel. In generale ci sono motorini, ratti, topi e scarafaggi a profusione, più che altrove. Si deve essere capito che non mi sta piacendo molto. Domani infatti andremo via, anche se ci sarebbe qualche altra cosa da visitare.

Oggi siamo andati al mercato Bến Thành dove Antonio ha sfoderato le sue abilità nel mercanteggiare e finalmente si è comprato dei cazzo di pantaloncini nuovi. Quelli che ha, che ha detto ovviamente che non butterà, sono di tipo 4 taglie in più, gli cadono da tutte le parti, sono lisi e stinti. L’edificio è del 1870 anche se il mercato inteso come tale risale al XVII secolo. È un edificio interessante, mi ha ricordato un poco il mercato centrale di Phnom Penh.

Il pezzo forte della giornata è stato il museo della guerra. Davvero, davvero ben fatto. Nel cortile esterno ci sono aerei, carri armati, ogni genere di armamenti appartenenti agli americani, da brivido. La mostra all’interno è interessantissima, con tutto un inquadramento storico che prelude alle fotografie (agghiaccianti) dei reporter di tutto il mondo scattate nel corso del conflitto. Certe cose le leggi sui libri (su internet), vedi i film di Hollywood e pensi di essere preparato, ma non è così. Comunque, si respirava una sottile aria propagandistica ma nulla a che vedere con il museo+mausoleo di Ho Chi Minh ad Hanoi. 

Nel pomeriggio abbiamo finalmente trovato un bar dove poterci fermare a lavorare con i pc, fino ad ora lo abbiamo fatto dal letto degli hotel e sinceramente non è stato il massimo.

Domani andremo nella zona del delta del Mekong dove rimarremo un paio di giorni. Abbiamo deciso di passare il Natale a Hoi An, per deprimerci un poco meno. È una città molto bella sulla costa, sembra un presepino.

Días 25-28: Tam Coc-Tràng An

Estamos en Tam Coc, un pueblín muy pequeño en oootra zona protegida por el UNESCO desde el 2014, la de Tràng An, en la provincia de Ninh Binh. El parque tiene dos ecosistemas principales: el de las montañas cársicas de piedra caliza y el ecosistemas acuático. 

Info útil: he aprendido a comer con palillos, incluso las cositas pequeñas tipo hojas y semillas y migas (estarás orgullosa de mi, K.)!

La guesthouse está en un sitio ideal, a 5 metros del lago y 10 de las montañas, rodeado por riachuelos, campos de arroz y muy pocos vehículos!!! Los campos de arroz no son un gran espectáculo en esta época del año, ya han recolectado y están inundados. El lado positivo es que las tierras se llenan de aves en busca de alimentos y es un verdadero espectáculo.

Foto de mylittleadventure.com

Del laguito del pueblo salen excursiones en barco a las grutas de los alrededores. La primera curiosidad: la forma de remar de las mujeres (porque son casi todas mujeres), mirad el vídeo!

Paseo en bici
Con el sol es otra cosa

Hemos alquilado unas bicis y dado paseos por los alrededores, subido el equivalente de 32 plantas para gozar de las vistas en Hang Múa, cruzado campos llenos de patos que estaban de barro hasta las trancas y cogido un nenúfar para mi herbario. Me he abalanzado sobre un estanque pútrido para coger la flor y al cortarla me ha salpicado agua pútrida en la cara (Casi me da un síncope D. y T.)

El segundo día ha sido el mejor probablemente. Hemos ido a Tràng An, el principal complejo paisajístico de la zona y nos hemos tropezado con ésto y de verdad no nos explicamos el porqué no haya nadie que haga couchsurfing aquí:

Tam Coc’s couchsurfing

En Tràng An había 3 posibles rutas, y hemos optado por la que nos habían recomendado en la guesthouse, que era la menos cotizada de las tres. Esto porque tiene muy pocas opiniones en google, lo abrieron al público en 2018.

Se trata de unas tres horas en barquito por los ríos y canales pasando por cuevas cársicas que conectan las dos vertientes de las montañas. La cueva más larga ha sido la Dot cave, de 1 km de largo! Tenía un techo hecho de estalactitas tan bajo que hemos tenido que agachar la cabeza más de una vez. Salir de la penumbra de la cueva al aire abierto ha sido espectacular!

La única pena ha sido no poder conducir nosotros el barquito y que tuviésemos un día nublado.

Antonio aporta este video porque considera su visión imprescindible para poder seguir:

El día siguiente otra vueltecita en bici. Hemos visitado una cueva en dos niveles y en cada nivel un templito, estaban conectados por una escalera interior escavada en la roca, tenía un no sé que de místico. La cueva de abajo tenía una boca muy grande y el templo la ocupaba toda aunque luego apenas tenía tres metros de fondo, lo importante es aparentar. El templito de arriba era una joyita perfectamente encajada en la gruta. 

Ese día conocimos a Rob, un sujeto muy especial. La verdad es que fue él el amable de la situación: nos vió dudar al entrar en un restaurante y nos captó, literalmente. Un ex marine, que tiene casas en EEUU, las alquila y se dedica a viajar con ese dinero. Es fotografo también y nos sacó un par de fotos bastante guapas. Le hemos caído bien gracias a mi camiseta de Walter White ya que el tiene un pedazo tatuaje del mismísimo Heissenberg en el gemelo: 

El último día el sol se ha dignado de salir, había menos humedad en suspensión y los paisajes eran aún más bonitos si cabe. En una de las fotos de ve a una señora remando con los pies y detrás de ella un rebaño entero de cigueñas con alas desplegadas tomando el sol.