Días 61-65: essenzialmente Daintree

Questo capitolo riguarda la foresta pluviale più antica del mondo: la Daintree rainforest che con i suoi 200 milioni di anni si conserva come una giovinetta. Per raggiungerla si attraversa un fiumiciattolo, quello che si potrebbe fare attraversando un ponticello qui si fa con una specie di traghetto che si muove per mezzo di un cavo, tipo yo-yo. Approdati sull’altra sponda si entra in un mondo nuovo, senza polizia, selvaggio e quasi completamente svincolato dal resto della società australiana.

La Daintree è stata riconosciuta dall’UNESCO nel 2015 come patrimonio naturale. La foresta contiene il 30% delle specie di rane, rettili e marsupiali australiani e il 90% delle specie di pipistrelli e farfalle australiane. Lo sapevi che i pipistrelli impollinano molto più che api e uccelli? La più alta concentrazione al mondo di piante da fiore primitive al mondo (12 di 19) si trova in questa foresta.

La selva è semplicemente incredibile, sembra essere in Jurassic Park. Gli alberi spiccano verso il cielo in una lotta drammatica per raggiungere il sole, i tronchi sono esili e privi di rami, solo una volta conquistato un pezzetto di cielo si aprono in chiome strabilianti con fogliame dalle dimensioni apocalittiche. Su questi alberi-dinosauri si arrampicano tanto le piante parassite come le epifite (quelle che solo si appoggiano e non danneggiano, le orchidee per esempio) che creano degli intrecci di radici che sembrano fatti all’uncinetto. Convivono e si intrecciano tantissime specie, è impossibile che in una foto ci sia solo un tipo di pianta.

Anche gli animali sono speciali, tutta quest’area è famosa per il casuario, un uccello enorme, grande come uno struzzo con il piumaggio nero e la testa azzurra sulla quale spicca una protuberanza (ossea?) che lo fa sembrare essere uscito da Jurassic park, appunto. Anche le sue zampe formate da tre unghione sono enormi. Lungo tutta la strada è pieno di cartelli di “attenzione”, pare ce ne siano parecchi nella zona, noi ne abbiamo visto solo le cacche.

Abbiamo fatto tanti percorsi di trekking nel parco, sono organizzati in maniera tematica: la foresta pluviale (percorso Jindalba), la foresta che migra nel paesaggio delle mangrovie (p. Marrdja) e poi le mangrovie in relazione al mare (p. Dubuji).

Ognuno era particolarissimo ed erano sorprendentemente diversi gli uni dagli altri nonostante fossero molto vicini tra loro. Sicuramente quello che mi ha impressionato di più è stato il Dubuji con le sue palme giganti, alte fino a 30 metri. Ecco qua duecento foto:

È pazzesco vedere la fusione degli ecosistemi. Un vero peccato che ai serpenti e ai ragni, pericoli terrestri, si sommino le mortali meduse e i coccordilli, pericoli marini. Questi simpatici rettili di acqua salata possono raggiungere i 6 metri di lunghezza ed addentrarsi dei fiumi per diverse centinaia dimetri! Non si possono nemmeno mettere i piedi in mare, bisogna stare a 4 m dalla riva, c’è il rischio che un coccodrillo zelante ti trascini nell’acqua e poi ciao ciao… è già accaduto.

Ecco qualche spiaggia:

Sulle spiagge talvolta (non a Daintree dove semplicemente sudi, guardi il mare e ti rode il culo) ci sono delle specie di reti per le meduse. Quelle mortali che hanno un diametro di 2 cm pare che passino dalle maglie e che in cambio nelle reti si trovino spesso intrappolati coccodrilli. Pure le formiche, innocenti insettini, se ti beccano possono essere molto pericolose, sono in grado di accartocciare le foglione della foresta per abitarci dentro. Se per caso te le ritrovi addosso consigliano di spogliarti nudo e scuotertele di dosso.

Torniamo alle cose belle. Nella zona ci sono diversi fiumi e torrenti e varie zone balneabili, la sensazione di libertà che si sente in questi posti è semplicemente unica. La gratificazione che si trova nell’immergersi nell’acqua fresca dopo una giornata passata a sudare camminando nella foresta (infestata dalle zanzare) è impagabile.

Abbiamo chiaramente potuto toccare con mano l’aspetto selvaggio della foresta ben da vicino. Lussi non ce ne siamo concessi, anche perché qui non avrebbe avuto senso, ed eravamo in un b&b nella giungla dove abbiamo avuto qualche…visita pericolosa. Perché abbiate un’idea il simpaticone del cucchiaio era in cucina, sua sorella maggiore si stava mangiando una piccola rana sull’uscio della nostra porta.

Pare che sia velenoso ma ha le mascelle piccole e quindi anche se potenzialmente molto pericoloso, non riesce a iniettarti il veleno in profondità. Di conseguenza il proprietario, Mat, che merita un capitolo a parte, non si è curato di farlo sloggiare, dice che se magna i ragni più piccoli e gli evita la rogna di togliere le ragnatele. Ecco un campionario degli animali che abbiamo potuto fotografare, senza includere il serpente giallo e nero che mi è strisciato tra i piedi che

Tutto è selvaggio e puro e grande. Non credo di essere in grado di spiegare a parole la sensazione di fusione con il contesto che abbiamo vissuto. Se non fosse per gli animali mortali sarebbe un posto dove vivere per sempre, sensazione che non abbiamo sperimentato altre volte in questo viaggio.

La nostra permanenza è stata ancora più speciale grazie a Mat, il proprietario del b&b. Ci ha spiegato che la foresta anni addietro, anche grazie all’isolamento geografico, ha iniziato a popolarsi di persone che cercavano di fuggire dalla giustizia o da qualcosa in generale. Con il tempo anche gli hippie e i ladroni hanno costruito una sorta di comunità, ad oggi pare che la foresta sia un buon punto per smerciare metanfetamina, grazie all’assenza di forze dell’ordine.

Mat è un uomo speciale, molto colto, un tempo addirittura si candidò con un partito ecologista, poi divenne professore di inglese per le comunità autoctone. Credo che lui sia tra quelli che fuggirono dalle strutture sociali canoniche. È stato fantastico con me, abbiamo sostenuto conversazioni anche molto impegnative sul diritto, la burocrazia, l’integrazione delle minoranze…con molto impegno da parte mia e molta pazienza da parte sua. Ha viaggiato in lungo e in largo per il mondo, sempre in moto e sempre solo. Viaggi seri, nove mesi in Africa, due anni in Tailandia, non so quanto in Cambogia… parla tante lingue, ha tre figli da due mogli diverse, naturalmente ex. Ha vissuto all’aperto nella giungla per nove mesi, e si è incrinato una costola durante la nostra permanenza volando giù da una scala con una sega in mano.

In questi viaggi il bagaglio emotivo che se vuoi puoi costruirti è più grande di qualunque valigia del mondo. Se mai qualcuno dovesse leggere queste linee, il suo b&b si chiama Epiphyte, un’esperienza indimenticabile.

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