Días 66-69: Greet Barrier Reef

La segunda parte de la semana mas bonita del mundo comienza con el temor reverencial hacia el seasick de Antonio. Su relaciòn con los barcos siempre ha sido de amor (cuando salimos a pescar) y odio (cuando estamos a la mercéd de las olas). Afortunadamente los medicamentos han hecho su labor.

Saliendo desde Cairns, hemos estado tres días en barco navegando por la barrera coralina exterior, al nor-este de Australia. La gran barrera coralina es otro patrimonio UNESCO y la verdad es que se lo ha ganado a pulso. Ya desde el barco es simplemente impresionante. Las manchas azules y verdes que se mezclan y se pierden en el orizonte, las olas que rompen en los corales a 50 km de la costa, los atardeceres, los peces que merodean el barco…

El barco era de unos 25 metros, teníamos una veintena de compañeros de viaje, mas unos cinco de la tripulación. Mis super favoritos: una guatemalteca china que trabaja en Taiwan, una guardabosques canadiense y el monitor de buceo mexicano. Había, como siempre en estas ocasiones, gente de todo tipo: un grupo de húngaros de lo mas peculiar (un mazado, un gordo experimentado buceador y un chiflao que mira a la gente con los ojos fuera de las órbitas), un neozelandés (cuyo superpoder es la hipertimidez), una pareja de sesenta y todos, texana, logorroica, ultraderechista y, obviamente, pro-Trump…

Todo cristo buceaba, excepto nosotros y los ultraderechistas texanos. Teníamos toda las papeletas por ser los raritos del barco. Mis favoritos han ayudado mucho a que así no fuera. Mi inglés poquito a poco mejora aunque el full inmersion “a tiempo completo” se hace duro a veces.

Los ritmos en el barco eran muuuy intensos, tres-cuatro inmersiones diarias precedidas por un breefing en que te enseñaban en una pizarra la estructura del arrecife y los mejores sitios donde ir, remarcando la presencia de grandes formaciones coralinas, àreas-criadero de peces, almejas gigantes, típicas ubicaciones de los tiburones de arrecife o los toros, etc…

A cada inmersión correspondía una comida. Nos han cebado, pero bien. Hemos mantenido alta la bandera Ita-esp y lo hemos comido todo.

Sólo con el el snorker hemos podido ver millares de maravillas, de hecho a veces creo que es bueno mezclar las dos cosas (esnorquel e inmersiones). Quien bucea tiene la oportunidad de ver pausadamente la vida submarina. Quien hace esnorquel tiene la oportunidad de quedarse en las aguas poco profundas y disfrutar del bullicío vital único de esas profudidades. Para mi el esnorquel es una experiencia híbrida porque puedo ir bastante a fondo en apnea, pero es cierto que la serenidad de poder observar algo en las profundidades no la tienes. De todos modo la variedad de corales con sus colores y formas es apabullante. Aquí una muestra:

Ya el primer día los divers pudieron tener una inmersión nocturna. Nosotros, los loosers, estábamos en el puente. Desde nuestra ubicación podíamos ver a los chicos tirarse al agua. Por la noche las luces del barco atraen a los pececitos pequeños, que atraen a los medianos, que atraen a los grandes, que atraen a los tiburones. Ya habíamos visto tiburones dede cerca durante el día, son tiburones de arrecife, no son peligrosos para los humanos pero llegan a los dos metros de longitúd, que no es poco.

Anto y el tiburoncito

Hemos visto unos cinco cazar a los peces atraídos por la luz. Había unos bien grandes y los ataques se parecían a los de un puto documental. Mientras tanto los chicos… pluf, al agua, pluf, al agua sin saber lo que estaba pasando a dos metros de ellos… Hemos pedido al capitan el permiso para entrar al agua. Nos lo concedió solo para el día después.

Al volver los divers estaban flipando,atraídos por la luz de las linternas, los tiburones les nadaban al lado! Decisión tomada: sacar el certificado de buceo.

El día siguiente nos bañamos por la noche esperando tener compañía. La verdad es que la tuvimos, unos dos tiburones, pero se quedaron a los tres metros de profundidad, asustados por nuestros movimientos no se atrevieron a llegar a la superficie. A cambio este animalito que parece sacado de “fantasia” de Disney estaba enamorado de mi linterna.

Mi señor esposo, el que no sabía nadar hasta que me conoció, decidió acompañarme no en uno, si no en DOS buceos! Que maravilla el mar desde abajo, con la luz del sol que se filtra así dramaticamente parece un cuadro de Caravaggio en azúl. Un sueño, y poderlo compartir juntos (perdonad por las caries que os estarán saliendo) me hace vivirlo mucho mas en pleno.

Llegados a la tierra firme hemos podido hidratar nuestros cuerpos con los compañeros del barco en los bares de la ciudad. Siendo yo una empanada, no me había traído mi ID así que tuve que saltar la parte del discotequeo porque la ley en Queensland es mucha ley.

Con esta maravilla se concluye la semana mas bonita del mundo, decorada por todas mis pasiones. A ver si Nueva Zelanda consigue ganar a Australia. Lucha entre titanes.

Días 61-65: essenzialmente Daintree

Questo capitolo riguarda la foresta pluviale più antica del mondo: la Daintree rainforest che con i suoi 200 milioni di anni si conserva come una giovinetta. Per raggiungerla si attraversa un fiumiciattolo, quello che si potrebbe fare attraversando un ponticello qui si fa con una specie di traghetto che si muove per mezzo di un cavo, tipo yo-yo. Approdati sull’altra sponda si entra in un mondo nuovo, senza polizia, selvaggio e quasi completamente svincolato dal resto della società australiana.

La Daintree è stata riconosciuta dall’UNESCO nel 2015 come patrimonio naturale. La foresta contiene il 30% delle specie di rane, rettili e marsupiali australiani e il 90% delle specie di pipistrelli e farfalle australiane. Lo sapevi che i pipistrelli impollinano molto più che api e uccelli? La più alta concentrazione al mondo di piante da fiore primitive al mondo (12 di 19) si trova in questa foresta.

La selva è semplicemente incredibile, sembra essere in Jurassic Park. Gli alberi spiccano verso il cielo in una lotta drammatica per raggiungere il sole, i tronchi sono esili e privi di rami, solo una volta conquistato un pezzetto di cielo si aprono in chiome strabilianti con fogliame dalle dimensioni apocalittiche. Su questi alberi-dinosauri si arrampicano tanto le piante parassite come le epifite (quelle che solo si appoggiano e non danneggiano, le orchidee per esempio) che creano degli intrecci di radici che sembrano fatti all’uncinetto. Convivono e si intrecciano tantissime specie, è impossibile che in una foto ci sia solo un tipo di pianta.

Anche gli animali sono speciali, tutta quest’area è famosa per il casuario, un uccello enorme, grande come uno struzzo con il piumaggio nero e la testa azzurra sulla quale spicca una protuberanza (ossea?) che lo fa sembrare essere uscito da Jurassic park, appunto. Anche le sue zampe formate da tre unghione sono enormi. Lungo tutta la strada è pieno di cartelli di “attenzione”, pare ce ne siano parecchi nella zona, noi ne abbiamo visto solo le cacche.

Abbiamo fatto tanti percorsi di trekking nel parco, sono organizzati in maniera tematica: la foresta pluviale (percorso Jindalba), la foresta che migra nel paesaggio delle mangrovie (p. Marrdja) e poi le mangrovie in relazione al mare (p. Dubuji).

Ognuno era particolarissimo ed erano sorprendentemente diversi gli uni dagli altri nonostante fossero molto vicini tra loro. Sicuramente quello che mi ha impressionato di più è stato il Dubuji con le sue palme giganti, alte fino a 30 metri. Ecco qua duecento foto:

È pazzesco vedere la fusione degli ecosistemi. Un vero peccato che ai serpenti e ai ragni, pericoli terrestri, si sommino le mortali meduse e i coccordilli, pericoli marini. Questi simpatici rettili di acqua salata possono raggiungere i 6 metri di lunghezza ed addentrarsi dei fiumi per diverse centinaia dimetri! Non si possono nemmeno mettere i piedi in mare, bisogna stare a 4 m dalla riva, c’è il rischio che un coccodrillo zelante ti trascini nell’acqua e poi ciao ciao… è già accaduto.

Ecco qualche spiaggia:

Sulle spiagge talvolta (non a Daintree dove semplicemente sudi, guardi il mare e ti rode il culo) ci sono delle specie di reti per le meduse. Quelle mortali che hanno un diametro di 2 cm pare che passino dalle maglie e che in cambio nelle reti si trovino spesso intrappolati coccodrilli. Pure le formiche, innocenti insettini, se ti beccano possono essere molto pericolose, sono in grado di accartocciare le foglione della foresta per abitarci dentro. Se per caso te le ritrovi addosso consigliano di spogliarti nudo e scuotertele di dosso.

Torniamo alle cose belle. Nella zona ci sono diversi fiumi e torrenti e varie zone balneabili, la sensazione di libertà che si sente in questi posti è semplicemente unica. La gratificazione che si trova nell’immergersi nell’acqua fresca dopo una giornata passata a sudare camminando nella foresta (infestata dalle zanzare) è impagabile.

Abbiamo chiaramente potuto toccare con mano l’aspetto selvaggio della foresta ben da vicino. Lussi non ce ne siamo concessi, anche perché qui non avrebbe avuto senso, ed eravamo in un b&b nella giungla dove abbiamo avuto qualche…visita pericolosa. Perché abbiate un’idea il simpaticone del cucchiaio era in cucina, sua sorella maggiore si stava mangiando una piccola rana sull’uscio della nostra porta.

Pare che sia velenoso ma ha le mascelle piccole e quindi anche se potenzialmente molto pericoloso, non riesce a iniettarti il veleno in profondità. Di conseguenza il proprietario, Mat, che merita un capitolo a parte, non si è curato di farlo sloggiare, dice che se magna i ragni più piccoli e gli evita la rogna di togliere le ragnatele. Ecco un campionario degli animali che abbiamo potuto fotografare, senza includere il serpente giallo e nero che mi è strisciato tra i piedi che

Tutto è selvaggio e puro e grande. Non credo di essere in grado di spiegare a parole la sensazione di fusione con il contesto che abbiamo vissuto. Se non fosse per gli animali mortali sarebbe un posto dove vivere per sempre, sensazione che non abbiamo sperimentato altre volte in questo viaggio.

La nostra permanenza è stata ancora più speciale grazie a Mat, il proprietario del b&b. Ci ha spiegato che la foresta anni addietro, anche grazie all’isolamento geografico, ha iniziato a popolarsi di persone che cercavano di fuggire dalla giustizia o da qualcosa in generale. Con il tempo anche gli hippie e i ladroni hanno costruito una sorta di comunità, ad oggi pare che la foresta sia un buon punto per smerciare metanfetamina, grazie all’assenza di forze dell’ordine.

Mat è un uomo speciale, molto colto, un tempo addirittura si candidò con un partito ecologista, poi divenne professore di inglese per le comunità autoctone. Credo che lui sia tra quelli che fuggirono dalle strutture sociali canoniche. È stato fantastico con me, abbiamo sostenuto conversazioni anche molto impegnative sul diritto, la burocrazia, l’integrazione delle minoranze…con molto impegno da parte mia e molta pazienza da parte sua. Ha viaggiato in lungo e in largo per il mondo, sempre in moto e sempre solo. Viaggi seri, nove mesi in Africa, due anni in Tailandia, non so quanto in Cambogia… parla tante lingue, ha tre figli da due mogli diverse, naturalmente ex. Ha vissuto all’aperto nella giungla per nove mesi, e si è incrinato una costola durante la nostra permanenza volando giù da una scala con una sega in mano.

In questi viaggi il bagaglio emotivo che se vuoi puoi costruirti è più grande di qualunque valigia del mondo. Se mai qualcuno dovesse leggere queste linee, il suo b&b si chiama Epiphyte, un’esperienza indimenticabile.

Días 57-60: Whitsundays y mi tortuga

Después de dos días en carretera y más de 900 kms por fin llegamos a Airlie Beach.

Las reinas del mambo de esta etapa son las islas Whitsunday dónde hicimos una excursión de un día. Se trata de un archipielago de 74 islas. Se llaman así porque cuando Coock pasó por el estrecho pensó justamente ser el primero y lo hizo el día de pentecostes (Whitsun en ingés) y, ya que tenía una fantasia apabullante, así bautizó el estrecho y consecuentemente las islas.

En el tour, adivina un poco, nos llovió a cántaros. Afortunadamente por la mañana tuvimos sol mientras hacíamos snorkel, el día en que yo me hice amiga de una tortuga y, consecuentemente, el MEJOR día del viaje!

Hicimos dos paradas en puntos distintos y la verdad es que ha sido tremendamente impactante ver tanta vida submarina, tantos colores…una pasada. Hay corales en forma de almohada que en unos puntos llegan a los dos metros o más, en las fotos no se aprecia lo grande que son. Cuando salía el sol entre las nubes literalmente explotaban los colores. Hemos incluso visto una almeja gigante que tendría un metro y pico de largo! (sin exagerar mucho).

Aquí hay que llevar un traje anti-medusas (básicamente un mono de Lycra), porque, ya sabes, puedes palmarla si no. Los más precabídos preguntarán por el dorso de los pies y la zona de la boca, a ellos les contesto que la gente se baña a pelo por aquí y que la dueña del Air b&b nos ha tomado el pelo a los europeos que venimos con las recomendaciones del ministerio de interior tatuadas. Su vida aquí no es una lucha por la supervivencia con un cuchillo en la boca matando serpientes, arañas y medusas que digamos.

Volviendo al tour: íbamos en una lancha neumática amarilla que a la vuelta ha literalmente surfeado las olas, Antonio se lo pasó como un enano, yo estaba agarrada a un palo como si de ello dependiera mi vida (como de facto ERA), no me explico como no haya tenido agujetas en los brazos.

El atractivo principal en término de playas es la Whiteheaven, no se puede explicar lo bonito que es el sitio. Lo de white, claro, es por la arena, sílice al 99%, una harina/arena. (M. sorry, no te puedes llevar arena de de estos sitios que te meten preso por menos de ná).

En cuanto la lancha ha echado el ancla…BOOOOOOOM liiitros de lluvia. Es un puto reloj suizo.

Aquí el sitio como lo hemos visto nosotros vs como es con el sol:

En todo caso tiene su encanto también así, el agua cristalina con centenares, CENTENARES, de rayas, los relámpagos y nosotros bañándonos en ese paraíso. Tuvimos la genial idea de ir al mirador en lo alto del “monte” descalzos, los pies hechos un Cristo, además llevábamos unos chubasqueros muy monos.

Para los amantes de la barrera coralina en el grupo del viaje, yo misma, hoy hemos sacado unas fotos en un mirador espectacular de donde se ve lo que se llama Black currant manta ray reef, y por algo será.  También hemos ido a ver una cascada sin agua, la única cosa molona eran las mini-ranas y luego hemos pasado la tarde en la piscina de la ciudad, muy guapa y gratúita!

Black currant manta ray reef
Black currant manta ray reef

Los días de Phnom Penh parecen otra galaxia.

 

Días 53-56: da Brisbane a Fraser Island

Inizia un luuuungo viaggio di 1800 km.

Dopo varie dispute, Prudenza mi ha persuasa ad abbandonare l’idea romantica del camper in favore di ostelli e macchina. Gli argomenti principali sono stati:

  • dover svuotare il serbatoio della merda
  • dormire dentro una lamiera (camper) sotto il sole.

Nella pratica qua so’ 4 giorni che piove a dirotto e dormiamo in ostelli con materassi a molle della prima guerra mondiale. Tipo che dormi a cucchiaio con le molle. Non allego una foto con gli occhi iniettati di sangue e le occhiaie viola per decenza.

Cooomunque… SIAMO TORNATI ALL’OCCIDENTALITÁ (alle antipodi). Brisbane è stata una tappa tecnica che è servita a togliermi la crisi di astinenza da formaggio e a farci sentire un soffio di quotidianità. Soprattutto perché dopo 50 giorni di “arroz con cosas, cosas con arroz” mo mò morivo. Abbiamo trascorso una giornata normale: abbiamo fatto una passeggiata, mangiato una pizza e siamo andati al cinema. Le cose “esotiche” della nostra giornata normale: i toporagni (come li chiamava papà) ENORMI che sarebbero le volpi-pipistrello che svolazzano sugli alberi del lungofiume, l’Ibis bianco che camminava sul marciapiede, l’acquazzone tropicale e lo stramaledetto inglese di Star Wars. NON SO COSA AVREI FATTO senza il podcast di 4.16 ore di quelli de “La Órbita De Endor” sull’episodio IX! Che ad ogni modo vi consiglio.

Deliziando le orecchie con Endor siamo arrivati al Lone Pine Koala Sanctuary, in teoria un centro di recupero, nella pratica uno zoo. Comunque fico perché abbiamo visto per la prima volta i koala che dormono beati sui rami e i canguri che sfoggiano i loro genitali senza vergogna.

 

La meta della giornata era Hervey Bay che è una cittadina surreale che vive del turismo della vicina Fraser Island (patrimonio UNESCO dal ‘92). Lunghe strade con casette a quattro falde con giardino, tutte sparpagliate in km e km quadri. Non esiste un centro consolidato, però esiste la pasta di Paolo’s che è affianco alla Burgerie che insieme ad un molo da cui i ragazzini fanno i tuffi è quello che abbiamo deciso fosse il nostro centro città.

Ci siamo beccati due giorni di piogge tropicali di quelle serie e ne abbiamo approfittato per fare il bagno sotto la pioggia in una spiaggia immensa. Come i bagni alla Cala d’oro con 17 anni, ma meglio.

Dopo la pioggia ci siamo finalmente potuti godere un tour a Fraser island. Che è una autentica meraviglia: la più grande isola di sabbia, DI SABBIA, del mondo: 1840 km2. Strade di sabbia ti portano ai boschi che crescono su monti di sabbia, ad una selle spiagge più lunghe del mondo con le sue 75 miglia (120 km) e ai suoi 100 laghi di acqua purissima.

Il lago più famoso è il lago McKenzie che è l’acquifero sospeso più grande al mondo (in Australia deve essere tutto grosso altrimenti non vale). L’acquifero sospeso è una cosa interessantissima, leggi questo! L’acqua del lago sembra quella di una spiaggia caraibica grazie ad un Ph molto acido (3.7) che impedisce la proliferazione della maggior parte delle specie acquatiche tipiche dei laghi. La sabbia è silice al 99%, bianchissima e sprofonda rapidissima nel blu dipinto di blu.

Dopo avere quasi disboscato l’isola dai suoi magnifici alberi ad alto fusto, nel ‘900 decisero di ripiantumarla. Come? Facendo gli esperimenti. Piantarono un po’ di tutto e pare che quasi tutto attecchì. Quindi oggi siamo passati attraverso boschi di eucalipto, pini ed anche una foresta pluviale.

Gli spostamenti su queste strade di sabbia sono molto accidentati e si possono fare solo in 4×4, tipo la vecchia panda. Noi per economia ci siamo mossi con un autobus che era praticamente un trattore. La “strada” principale è la 75 miles beach dove i mezzi possono arrivare fino agli 85 km/h. C’erano spiattellate centinaia di meduse, ed anche centinaia di caravelle portoghesi! Ad ogni onda sulla battigia scappavamo come conigli.

Gli ultimi due pit stop:

  • La S.S Maheno, una nave che batteva bandiera neozelandese che si arenò in seguito ad un tifone nel 1935
  • Le montagne di sabbia di 72 colori a ridosso della battigia.

 

Sulla strada del ritorno, in traghetto, visto che l’otite è sempre acquattata dietro l’angolo ad attendere il più piccolo passo falso…

Días 49-52: Railay y entregas

Llegar a Railay ha sido accidentada. Empezamos con un chaval de 15 años (o menos) que, en el medio de nuestro desconcierto e incredulidad, nos subió a su estrafalario sidecar y nos llevó de la playa al muelle (Se suponía que nosotros habíamos contratado un coche para llevarnos al puerto desde el hotel). Cada bache parecía un cañón, esos cosos tienen tres ruedas y la plataforma no está NUNCA en equilibrio horizontal.

Del muelle tenía que recogernos un”speed boat” en teoría a las 12.00. Cuando llegamos ya había unas 10 personas. Al cabo de una hora aún no había ni sombra de alguien que pudiese parecerse a un tour operator. Los turistas ya éramos una treintena. Sobre las 13 y algo aparece un señor regordete, sonriente, con la camiseta pringada, que empieza a contarnos modo ovejas repitiendo en voz alta, más para él mismo que para nosotros, los destinos de cada cual. Llama a alguien, grita nombres y números. Creemos que en ese mismo instante había hecho un cómputo de los que éramos y dónde tuviéramos que ir y que estuviera buscando los barcos para llevarnos. En toda la hora siguiente a cualquiera que le preguntara por su barco, el señor respondía siempre “media hora”.  Después de hora y media llegan modo flotilla tres barcos, ya en overbooking, y se empieza a montar la de Dios. Parecía el mercado el pescado. El tío contándonos, el otro del barco gritando destinos, maletas que viajaban de un barco a otro y desaparecían en compartimientos semiocultos. Nos subimos al final a uno de ellos rezando al menos que las mochilas siguieran con nosotros, mucho esperar era llegar directos a nuestro destino. El conductor viajó a todo gas, tardando 20 minutos en hacer un viaje de 40. Llegamos vivos, con las mochilas y en el sitio adecuado.

La playa de Railay parece hecha de harina por lo fina que es! El hotel por fin tenía nivelasso y las cucarachas parecían un recuerdo lejano. La lengua de tierra entre las dos bahías está repleta de hoteles que dejan unos caminitos estrechos para conectar el lado este al oeste. Hay una única calle dedicada a la restauración y en los árboles de nuestro hotel (justo frente a nuestra habitación!) había familias enteras de monos que se subían a los balcones y hacían un escándalo del demonio.

Lo demás va a ser breve, porque hemos hecho poquito, mucho trabajo, algún que otro atardecer y copiosos desayunos. Ha habido incluso un día de 24 horas de trabajo para Anto, que se distraía sólo para comer lo que le traía, diciendo SIEMPRE que no sabía si hubiera tenido tiempo para comérselo y que incluso no hacía falta traerle nada…claaaaro.

De los momentazos hay que destacar un paseo a la playa de Tonsay a través de un bosquecito precioso y lleno de monos. Por qué destacará esta playa? Por los/las  buennorros/as que hacían escalada en las paredes verticales de los acantilados! Había incluso niños que se subían al menos a 20 metros de altura.

Otra maravilla ha sido el paseo en kayak, mejor incluso que la arena/harina de la playa y los mazaos! Aquellos acantilados brutales están llenos de estalactitas que te gotean encima y luego…SBAM una pared vertical con los depósitos de hierro que la pintan cómo una acuarela. Todos los alrededoses están hechos de islas, islotes, islitas rodeadas de corales.

La noche después de la entrega fiumos a tomar algo, y por algo entiendo cerveza, aunque el dueño del bar nos ofreció por 250 bahts (unos 8 euros) un canuto de veinte centímetros de largo. El tufazo a marihuana se sentía desde fuera en realidad. El bar se llama “Jamaica”, así que todo tenía sentido. En medio de este escenario dantesco un niñito rubio de unos 4 años jugaba con su camioncito amarillo. Mamás NO hemos participado a este abominio, en Tailandia vas al calabozo por mucho menos.

Y ya se acabó la etapa Thai, a los pocos días de distancia la nochevieja parece ya lejana, sobretodo si escribo desde un hostel en Australia que parece salido de Twin Peaks o alguna serie de segunda emitida por la tarde en la cuatro 🙂

Días 45-48: Koh Jum e le invasioni animali

Prologo:

Per chi non lo sapesse, anni fa io e Antonio vivevamo un bilocale in via Alonso Cano, la nostra prima casa insieme. Poco prima che mi trasferissi con lui il condomino del piano di sopra morì, e morì in casa nel mezzo della pattumiera che accumulava. Era un uomo solo e nessuno si accorse per giorni della sua dipartita dal mondo dei vivi. Queste tristi circostanze portarono ad una infestazione di scarafaggi in tutto l’edificio, erano O-VUN-QUE. Immaginate che Antonio dormiva sul divano, si cospargeva di insetticida e faceva il cerchio delle streghe intorno a sé. Sin da allora ho delle reazioni incontrollate e completamente irrazionali alla vista anche fosse di un solo scarafaggio.

I fatti:

Abbiamo cambiato isola, ora siamo a Koh Jum (seguono commenti e descrizione) e il nostro hotel è un “hotel diffuso” fatto di capanne di bambù e legno inerpicate su un crinale pieno di alberi. Sta il fatto che dopo una giornata di mare vado a farmi la doccia nel bagno del boungalow che sembra uscito da un film su Berlino est, però col tetto di bambù. “AAAAAH Antonio!!! Sono circondata!!!!” (uno scarafaggio sulla porta). Sopraggiunge scapicollandosi il principe azzurro, anche detto ammazza bacarozzi, il quale compie la missione per la quale era stato predestinato sin dalla nascita. Inizio ad insaponarmi e ne vedo un altro. Altro grido, altra corsa. Io nuda come mamma mi ha fatta, sull’uscio della porta, strofinandomi compulsivamente il bagnoschiuma addosso e piangendo le lacrime vere, quelle dei bambini, quelle grandi. Ho dovuto finire di farmi la doccia, piangendo piangendo per poi tuffarmi nel letto sotto la zanzariera.

Altri fatti:

Abbiamo avuto un’invasione di rane nel bungalow, una delle quali ho dovuto liberare con una scopa e un cesto: ci osservava troppo mentre eravamo in bagno. Avendo scoperto, con il passare dei giorni, che l’invasione di rane sarebbe stata quotidiana, abbiamo imparato a non farci troppo caso.

È assurdo pensare a quanto sia tranquilla e poco affollata quest’isola rispetto alle super famose qui intorno. Il mare è pulito, ci sono anche dei coralli e pesci colorati, la spiaggia è stupenda e la vegetazione è alta e frondosa. Gli hotel sono tutti nascosti tra gli alberi e non deturpano il panorama. Per arrivare qui siamo dovuti passare per Koh Phi Phi che sembrava Jersey Shore: tette rifatte, tamarri in canottiera, tatuaggi total body, occhiali da sole specchiati e capelli biondo platino. Ci saranno pure delle spiagge stupende ma saranno anche super affollate da questa fauna (che snob, al rileggerlo mi faccio rider da sola). Comunque, al contrario, quando siamo arrivati a Koh Jum, il 4×4-camioncino-taxi si è addentrato in un sentiero sconnesso e ci ha mollati sulla spiaggia dicendoci che l’hotel fosse un centinaio di metri a sinistra. Questo è quello che ci piace. 

Abbiamo anche preso un kayak con l’intenzione di percorrere la costa a nord dell’hotel ma un’improvvisa burrasca di vento ci ha confinati su una spiaggia (abbastanza vicina all’hotel) in cui siamo diventati delle crocchette umane e i nostri telefoni pure. Tra un kittemorto e l’altro e il malumore crescente siamo riusciti a tornare indietro abbastanza facilmente, nonostante avessimo solo un remo e mezzo (perché questi boungalow di buono c’hanno solo la posizione).

L’impresa kayak è stata ovviamente ripetuta, compiendo la missione e remando come forsennati perché il sole è calato mentre eravamo sulla strada del ritorno. Antonio ha detto che se continua così gli verranno le spalle come le mie, come dargli torto.

Días 40-44: Koh Yao Yai, Nochevieja en Thailandia

El salto a Tailandia ha sido muy, muy agradecido! Nochevieja la pasamos en esta playa de Koh Yao Yai:

Incluso formamos un buen grupo con unos chicos italianos y polacos, parecíamos colegas desde hace tiempo. Casi todos trabajan en el mundo audiovisual, un par de ellos son actores también, cosa que le ha dado un punto excentrico a casi todas las conversaciones! La única que trabaja en otro sector es profe a Bangkok y hablaba por los codos, así que silencios incómodos no ha habido!

En la parte inicial de la playa hay unos garitos frecuentados casi exclusivamente por chinos, pijos y pijos chinos, pero luego la historia se vuelve Bob Marley. Conocimos a Niki, el dueño de un bareto y le pedimos si podríamos organizar la cena de nochevieja allí, rollo barbacoa de pollo y pescado. Resultó fantástico. Niki es un isleño regordete con una bonita sonrisa que le ilumina la cara a la cual le falta un incisivo frontal, cosa que le da una extraña expresión de pirata, y yo lo sé bien. Le vimos transportar la barbacoa en sidecar, el medio de transporte local más común aquí. Son sidecares homemade, pintan así:

Nos divertimos como enanos, todo el horizonde estaba lleno de fuegos artificiales (la zona de Phuket) y también los chinos sacaron la artillería pesada. Después nos bañamos y… había bioluminescencia!!!!! No era super fuerte pero al mover las manos y los pies se iluminaban millares de puntitos, una pasada. Han tenido que arrastrarme fuera del agua, no quería salir.

En la isla hay una única carretera que corre de norte a sur. Se pasa por el medio de la selva y por pueblines  con casas subidas encima de palafitas. Es todo muy tranquilo, agradable y bonito. Son todos musulmanes de los de verdad, con sus minaretes y sus chadores pero muy tolerantes hacia nosotros pecadores. Las playas de la isla son preciosas: arena blanca y selva que llega hasta la orilla. Incluso hay monos, muchos monos que viven en los árboles del final de la playa. No nos hemos acercado demasiado por “Prudenza”. La isla no es muy turística, incluso las playas mas famosas están “vacías”. El agua está algo turbia, sobretodo al este, debido a la desembocadura de los ríachuelos o a la presencia de las rías, pero también por esto hemos tenido la bioluminescencia, así que aceptamos lo turbio.

Hemos estado en una de estas rías, evidentemente el kayaking aquí no le interesa a nadie y hemos explorado los meandros a solas. Está lleno de manglares y monetes. Un ecosistema completamente nuevo para mi, estupendo. Al entrar en la parte final de los canales los árboles construían un techo de hojas sobre nuestras cabezas, mientras las raíces cerraban cada vez más el paso.

Hemos tardado un mundo en llegar a Ko Yao Yai pero ha merecido la pena!